La ceramica nell’uso quotidiano
Nel pieno Medioevo, i servizi da tavola si compongono di ciotole, scodelle e tazze per le pietanze e brocche e boccali per le bevande. Il vasellame alimentare è spesso rivestito di vetrina, per renderlo impermeabile, più igienico e adatto a essere decorato con vari motivi, tra cui gli stemmi familiari.
Dalla metà del Cinquecento, accanto alle scodelle appaiono i piatti, meno profondi. Tra quelli più grandi troviamo il piattu riale, con un diametro superiore ai 40 cm, da cui si mangia tutti insieme. Anche la manzana è utilizzata per il pasto collettivo dei lavoranti, ad esempio nel frantoio, dove il cibo viene cotto nella grande pignata de trappitu o malômata.
Tra le caraffe troviamo l’ursulu, che può contenere da 1 a 5 litri. Poi, la quartara, di medie dimensioni, e il capasone, il più grande, da cui si spilla il vino.
La ciarla e la vucala sono dei boccali che in genere si usano per l’acqua, solitamente provvisti di due anse; il cutrubbu invece è l’antenato dell’oliera.
Nella dispensa contadina si trovano diversi contenitori, le ’rsule, orcioli dalla capienza fino a 20 kg, utili a conservare olive e composte, lo stangatu, dove si stipavano in genere i cibi da consumare durante le stagioni fredde come ortaggi e pesce sotto sale, e la capasa, adatta ai cibi secchi tipo frise e legumi. Non manca il mortaio, sempre di terracotta, che serve per frantumare spezie e cereali.
Fin dall’antichità, il vasellame per la cottura è realizzato in argilla refrattaria.
Nel Salento, la composizione di alcune argille è ideale per l’utilizzo sul fuoco, pertanto la zona diviene famosa per la qualità del pentolame. Tra tutti i centri, spicca Cutrofiano. Così gli abitanti si guadagnano l’appellativo di pignatari, da pignata, la pentola di terracotta più diffusa, tipica della tradizione culinaria locale.
Nel XVI secolo, di pari passo ai cambiamenti sociali e culturali del tempo, si diffonde un’alimentazione più variegata e quindi ulteriori contenitori da cucina, come la taeddhra, utilizzata per preparare stufati di carne e verdure.
Dal secolo successivo, i ceramisti di Cutrofiano si adeguano alle tendenze europee, creando pentole refrattarie decorate con ingobbio e introducendo uno stile locale, caratterizzato dalla decorazione a puntini con cui disegnano le tipiche rosette.
Intervento Ida Blattmann D’Amelj (Tra medioevo ed età moderna)
L’uso di oggetti quotidiani, appartenuti ed usati da gente comune, alcuni semplici, altri più complessi e preziosi ci fanno conoscere ed apprezzare i secoli passati e costituiscono una lente di ingrandimento sulla vita di Cutrofiano, piccolo ma vivace centro salentino.
Se del periodo antico la ricerca ha bisogno di ulteriori indagini, la fase tra Medioevo ed età moderna ha rivelato invece tutta la sua ricchezza. A partire dal 1200 fino al 1400 le pentole e i tegami con o senza rivestimento vetroso, decorati con incisioni ad onda o, più tardi, con delicate gocce di ingobbio, erano destinati alle zuppe, alle carni bollite, alle salse di accompagnamento o alla lenta cottura presso il focolare dei legumi (fagioli, piselli e fave), pasto protagonista delle tavole contadine. Brocchette, lucerne e grandi anforacei, dipinti con elementi a spirali, festoni o uccelli stilizzati nei colori rosso-bruni, custodivano nelle dispense della famiglia le riserve di liquidi e derrate per i lunghi e freddi mesi invernali.
Più articolati e ricercati risultano i manufatti per servire sulla mensa pesce, legumi, uova e formaggi, più raramente la carne, insaporita con erbe aromatiche. Piccole tazzine, ciotole monoporzione, scodelle oppure grandi piatti da portata e ancora catini, boccali e brocche per acqua e vino erano tutti invetriati e dipinti nei colori vivaci del verde, giallo e rosso su una leggera base biancastra di ingobbio con semplici decorazioni a soggetto vegetale o geometrico, come foglie simmetriche o losanghe di matrice cutrofianese.
Un rinnovato fervore edilizio investì la città dalla metà del XVI secolo ed anche le botteghe ceramiche diversificarono i prodotti e si specializzarono nella produzione della graffita che si diffuse sul mercato locale, ma anche oltre. Oggetti come brocchette, anfore, borracce ma anche piatti e soprattutto catini furono realizzati con questa tecnica e dipinti sotto vetrina con il bruno manganese, il verde e più tardi con il blu. La ricchezza di un repertorio graffito, complesso e fantasioso più volte riproposto, a tema ancora vegetale ma anche zoomorfo, come l’elegante pavoncella, ne decretò la sua fortuna.